sabato 31 dicembre 2011

LETTO PER VOI

IL SAMURAI SOLITARIO - Miyamoto Musashi  
di William Scott Wilson


Il termine "Samurai" è una delle poche parole giapponesi entrate nel dizionario italiano. In molti evoca la figura di un guerriero, letale e feroce, munito di spada, elmo e corazza. Un pò come questa  qua sotto.


La classe samuramica nacque intorno al VIII secolo come gruppo armato con la specifica funzione di difesa della figura imperiale. Ben presto si trasformò in una casta guerriera che fu una delle protagoniste della storia del Giappone, in particolare tra il 1200 e il 1600.
Tuttavia i samurai non erano una classe omogenea.
Vi erano i samurai "professionisti". sono quelli classici, figure guerriere tutte di un pezzo, famose per la loro lealtà che si spingeva fino alle estreme conseguenze. Spesso si suicidavano alla morte del loro signore presso cui esercitavano i loro servigi, il daimyo.
Vi erano anche samurai rinnegati, detti "ronin". Essi erano guerrieri che si erano disonorati o durante le varie battaglie, o durante il loro servizio oppure si erano categoricamente rifiutati di suicidarsi. I ronin erano degli sbandati che si procacciavano il cibo quotidiano assaltando le carovane di mercanti oppure dedicandosi ad a manzioni più umili e meno prestigiose. I ronin aumenteranno in maniera esponenziale con la "Pax Tokugawa" che unificò il Giappone e con il fallito tentativo della conquista della Cina.
Vi era poi una terza categoria di samurai, i "shugyosha", una sorta di samurai mercenari intineranti, che si spostavano per l'intero Giappone senza però mettere radici in un luogo particolare e nemmeno legarsi a un signore locale. In genere si affrontavano in duelli per affinare la propria tecnica di spada. É a questa categoria che appartiene Miyamoto Musashi.
Per i giapponesi la figura di Miyamoto Musashi (1584-1644) la si può paragonare a quella italiana di Garibaldi. Ancora oggi è considerato un eroe nazionale tanto che è protagonista di numerosi manga, di film e sceneggiati e almeno di una ventina di romanzi.
Il suo esordio avviene nel 1596, alla "tenera" età di 13 anni. Una mattina uno spadaccino di nome Arima Hikei, attende seduto le scuse formali da parte di Miyamoto Bennosuke (è questo il vero nome di Musashi). Lui però rifiuta ed è subito scontro. A dispetto dell'età, Miyamoto Musashi sconfigge, uccidendolo con un solo colpo di spada, Arima Hikei. La cosa soprendente è che Musashi utilizzerà una semplice spada di legno. Sarà la sua unica arma per tutta la sua vita costellata da ben 63 vittorie e da un pareggio.
Il duello che lo renderà celebre avviene il 12 aprile 1612, nei pressi dell'isola di Ganryiu, contro Sasaki Kojiro. Esso avrebbe dovuto svolgersi a mezzogiorno, ma Musashi arriva in ritardo di qualche ora. Le cronache descrivono un Kojiro molto nervoso, quasi offeso del ritardo e un Musashi dall'imperturbabile calma interiore.
Dopo i convenvoli e i rituali saluti inizia lo scontro. I due si affrontano sulla spiaggia, Kojiro estrae la lama della spada dal fodero e getta quest'ultimo via. A questo punto Musashi dirà un'unica celebre frase "Hai già perso" e lo ucciderà con un'unico colpo di spada di legno. Musashi aveva opportunamente allungato la propria spada di un paio di centimentri rispetto a quella di Kojiro. La spada era stata intagliata nel remo di una barca.
All'eta di soli 33 anni Musashi scopre il buddismo e in particolare lo Zen che lo influenzerà notevolmente, tutti i suoi incontri e duelli saranno incruenti. Inoltre smette le vesti di feroce guerriero e si dedica a dipingere, a comporre poesie e ad aprire una scuola di spada, tuttora esistente. E non solo. Si dedica pure, fatto anomalo per un samurai, al giardinaggio creando ben due giardini zen ancora oggi visitabili.
Poco prima di morire, nel 1644, lascierà ai suoi discepoli il suo scritto più importante: "Il libro dei cinque anelli". Il suo testamento è inciso sulla pietra tombale eretta dai suoi discepoli.


E ora ecco uno spezzone di uno sceneggiato televisivo giapponese, uno frai tanti, in cui viene mostrato il celebre duello. Musashi è quello vestito di nero, dall'aspetto trasandato, le cronache dell'epoca dicono che non si lavasse mai. Vestisto di bianco è invece Sasaki Kojiro.

domenica 27 novembre 2011

LA POESIA DI NOVEMBRE

LA POESIA DI NOVEMBRE


身にしむや
亡妻の櫛を
閨に踏む


Mi ni shimu ya
Naki tsuma no kushi wo
neya ni fumu.

Un freddo gelido:
il pettine della mia cara moglie
giace sul pavimento.

Yosa Buson (1715-1783) 


Commento:
Secondo un'antica credenza superstiziosa, un pettine caduto sul pavimento doveva essere pestato con un piede, prima di essere raccolto.

Questo haiku di Buson, come molti haiku di Bashō, contiene aluni giochi di parole presenti fin dallo stesso kigo. Mi ni Shimu letteralmente significa "Trafitto nel corpo", ma minishimu è anche il primo vento freddo del tardo autunno. Naki tsuma è la moglie defunta, mentre il termine kushi, significa sia pettine sia le nove morti.
Quando nel 1777 Yosa Buson scrive questo haiku dedicato alla sua consorte, sua moglie Tomo è ancora viva e vegeta, morirà 34 anni più tardi, nel 1814. Si tratta quindi di una poesia che nulla ha a che fare con la realtà dei fatti.
L'haiku esprime il senso di solitudine e di freddo interiore provocato dall'immaginario "vuoto" lasciato dalla dipertita della propria moglie. Di lei ci rimane, secondo l'autore, solo un pettine e nulla più.

martedì 25 ottobre 2011

LA POESIA DEL MESE DI OTTOBRE

LA POESIA DI OTTOBRE


CARA MI SEI COME SOLE SUL FIENO

Cara mi sei come sole sul fieno
di fresco falciato
che il rastrello raduna
in mucchi odorosi tra mezzo il prato
sereno.

Cara mi sei come luna
sui passi dell'adolescente
che sente
confitta nel cuore
la prima spina d'amore.
                                     Angiolo Silvio Novaro (1866-1938)

Di tanto in tanto mi capita di imbattermi in poesie che mi piaciono in maniera particolare e quella che vi presento è proprio una di quelle. Silvio Novaro, anche se presente in molte antologie scolastiche, non è annoverato tra i poeti più famosi poichè ebbe la sfortuna di far coincidere quasi tutta la sua produzione lirica con quella del Sommo Vate, Gabriele D'Annunzio. Ciò nonostante, al suo tempo, ebbe molte amicizie in particolare con Zandonai, Verga, Quasimodo, Berio e con lo stesso D'Annunzio.
La sua vita fu molto appartata, specie dopo la prima guerra mondiale quando perse il figlio e al quale dedicò una toccante raccolta lirica, "Il fabbro armonioso".

In molte poesie di Novaro ritroviamo il costante richiamo alla natura e alla vita agreste. In questa poesia l'amata è paragonata prima al sole che splende sul fieno e poi alla luna che rischiara nella notte il cammino "doloroso" dell'adolescenza.

martedì 4 ottobre 2011

AMMAZZABLOG

Riporto un'interessante articolo tratto dal blog di valigia Blu.

Ammazzablog, l'autocensura di Wikipedia: è questa la rete che vogliamo?

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Diciamolo subito, a scanso di equivoci: stavolta Vasco Rossi non c’entra. La versione in italiano di Wikipedia (l’enciclopedia on line collettiva forte di quasi 900 mila voci, quarta al mondo dopo quelle in inglese, tedesco e francese) è al momento oscurata, in segno di protesta contro l’ormai celebre comma ammazza-blog (qui uno splendido post di Metilparaben featuring vari blogger nella veste di rettificatori).
Si tratta di una forma di autocensura annunciata da alcuni giorni e messa in atto al termine di un lungo, democratico e approfondito dibattito in rete tra gli utenti del sito, con l’obiettivo di attirare l’attenzione dei media sugli effetti che l’applicazione del “comma 29” (noto anche come obbligo di rettifica) potrà avere sulla libertà e la neutralità dell’informazione. Se la legge bavaglio dovesse passare, l’idea stessa di Wikipedia sarebbe minata nelle sue fondamenta. Anche perché, se vogliamo dirla tutta, l’impressione è che in rete non si sia compreso appieno quale è il fulcro della questione, cioè su cosa impatterebbe il comma 29.
Qualcuno ha fatto presente che in fondo la rettifica potrebbe essere un bene per la rete, poiché la rete non è altro che moltiplicazione dei punti di vista, quindi incremento delle informazioni. Insomma, se con la rettifica si affianca la mia verità a quella dell’articolista che male c’è? Non è meglio due punti di vista invece di uno solo?
In realtà con il comma 29 un governo che ci tiene a dichiararsi ferocemente a favore delle libertà individuali, al punto da farne nome del partito principale della coalizione, di fatto limita pesantemente tali libertà. Se un blogger commette un illecito a mezzo del suo sito è sacrosanto pretendere che ne debba pagare le conseguenze, perché il principio indefettibile ed irrinunciabile di ogni democrazia è la responsabilità per le proprie azioni, ma pretendere che in assenza di qualsivoglia illecito o reato si debba ospitare sul proprio sito l’altrui opinione o “verità personale”, a pena di forti sanzioni, appare un’ingiustificabile compressione delle libertà individuali.
Se un articolo appare in qualche modo “disturbante” per il soggetto citato, ma sempre nei limiti delle leggi vigenti, non ha alcun senso imporre sull’altrui sito la presenza di voci in contrasto, perché tale modo di fare determina soltanto un sovraccarico di messaggi ed informazioni che alla fine porta ad una svalutazione di tutti i messaggi in rete. Quello che effettivamente si vuole, tramite il comma 29, è probabilmente proprio sfruttare la cosiddetta strategia della disattenzione tipica dei talk show ai quali ci stiamo, purtroppo, progressivamente abituando, dove i messaggi urlati che si sovrappongono creano un rumore di fondo nel quale diventa sempre più difficile distinguere il vero dal falso, gettando sull’intera informazione una cinerea patina di relativismo, mangiandosi quella scarsa risorsa che è il tempo delle persone!
Ecco quindi che il famigerato comma 29 incute timore anche alla più grande enciclopedia in rete, Wikipedia, dove gli amministratori della versione italiana paventano i rischi del doversi impelagare in questioni legali. Wikipedia non ha quelli che, giuridicamente, si possono definire responsabili, ma in teoria chiunque può scrivere quello che vuole, fermo restando un controllo degli altri utenti che generalmente garantisce una certa correttezza delle informazioni, un sistema che ha portato Wikipedia a diventare una fonte insostituibile di informazioni in tutto il mondo.
Quindi, al di là dell’ovvia problematica di individuare un responsabile della cosiddetta rettifica, che in teoria dovrebbe essere Wikimedia Foundation negli Usa, alla versione italiana della creatura di Jimbo Wales fa paura la possibile perdita del punto di vista neutrale, principio irrinunciabile dell’enciclopedia gratuita. Il punto di vista neutrale, secondo le linee guida di Wikipedia, è un metodo di presentazione delle informazioni in base al quale la voce deve presentare tutti i punti di vista significativi pubblicati da fonti attendibili e farlo in maniera proporzionata all’importanza di ciascuna, senza concedere, quindi, uno spazio uguale a punti di vista minoritari e maggioritari. Il comma 29 avrebbe proprio l’effetto di azzerare la neutralità (anche se tendenziale essendo esseri umani coloro che scrivono su wikipedia) delle voci dell’enciclopedia imponendo la pubblicazione di tutti i punti di vista possibili su un determinato argomento, senza alcuna possibilità di discernere ciò che è significativo da ciò che non lo è.
In quest’ottica non dobbiamo dimenticare che Wikipedia è statospesso  attaccata per una presunta non affidabilità delle sue voci, laddove alcune ricerche hanno comunque dimostrato che l’affidabilità dell’enciclopedia gratuita non è tanto dissimile da ben più blasonate, e a pagamento, concorrenti. La vera novità della creatura di Jimbo Wales è data, invece, dalla neutralità delle voci, una tendenza all’imparzialità che può esistere solo in progetti che siano indipendenti da ogni forma di sponsorizzazione, sia economica che politica. Ed è per questo che Wales ha sempre rifiutato ogni tipo di sovvenzionamento, preferendo chiedere ai suoi utenti un contributo, anzi tanti piccoli contributi, per non dover abbandonare il punto di vista neutrale.
Il controllo del sapere, come Diderot e D’Alambert già evidenziarono nel ‘700, e come ben sapeva Mussolini che supervisionava personalmente la redazione della voce Fascismo della Treccani, è fondamentale per il potere, ed è per questo che le dispute sull’affidabilità di Wikipedia sono fuorvianti, laddove quello che davvero importa è la sua tendenziale neutralità. Quella stessa neutralità che oggi, con l’approvazione del comma 29, rischierebbe di cedere il passo ad un florilegio di molteplici “verità” personali.
Invece di una sola voce controllata strettamente dal potere, avremmo una moltitudine di voci nelle quali sarebbe impossibile distinguere qualsiasi “verità”. E questo non solo su Wikipedia, ma in tutta la rete!
Al di là dei contenuti della protesta, vale forse la pena soffermarsi sulla forma e sul metodo. L’autocensura preventiva - decisa dal basso, dagli stessi utenti che sono a un tempo creatori e fruitori del servizio  - è una scelta di libertà che forse i siti di news non possono permettersi (avendo aziende che pagano un tot di euro per i loro ads) ed è anche un modo per verificare se il pluralismo e l'articolo 21 interessino davvero a qualcuno, se il silenzio consapevole e informato (al quale magari potrebbero unirsi le “voci” autorevoli di molti blogger italiani disposti ad oscurare le proprie pagine) possa produrre risultati efficaci. Oppure conta solo #vascomerda?
Andrea Iannuzzi e Bruno Saetta
@valigiablu - riproduzione consigliata
Di seguito il testo del'art. 21 della costituzione:
"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione."

lunedì 26 settembre 2011

TOPINAMBUR.


TOPINAMBUR


Famiglia: Compositae
Nome botanico: Helianthus tuberosus
Nome Volgare: Topinambur, Pera di terra, Tartufo di canna, Patata del Canadà, Girasole tuberoso, Carciofo del Canadà, Carciofo di Gerusalemme.

Descrizione: Pianta erbacea perenne, dal portamento eretto, alta fino a 3 m.
Le foglie sono opposte sulla parte più bassa del fusto, alternate in quella più alta, lunghe dai 7 ai 15 cm, hanno il margine seghettato e sono di forma ovato-lanceolata oppure ovato-cuoriforme.
I fiori sono di colore giallo e grandi 3-8 cm riuniti in corimbi. Le ligule sono gialle e presentano solchi longitudinali. Sbocciano alla sommità degli steli. Fioritura da agosto ad ottobre
Le radici sono fibrose e tuberose, lunghe da 7 ai 10 cm e spesse 3-5 cm. Assomigliano vagamente a quelle dello zenzero. Il colore dei tuberi varia dal marrone chiaro, al bianco, al rosso, al porpora.

Etimologia:
Il nome del genere deriva dall’unione di due parole di origine greche: “Helios” che significa “sole e “anthus” che significa “fiore”. Il tutto può essere tradotto con “Fiore Sole” in riferimento all’aspetto del fiore simile a quello del sole raggiato.
Il nome della specie “tuberosus” deriva dal latino ed è riferibile alla forma delle radici, simili a tuberi.
Il nome volgare di “topinambur” è quello proprio dato dagli Indiani d’America.


Curiosità
Vi siene mai accorti passeggiando tra i campi nei mesi di settembre di macchie di colore giallo ? Quelle macchie così vistosamente colorate sono i fiori di topinambur che hanno anche ispirato una poesia, dal titolo omonimo, di Andrea Zanzotto:
Topinambur abbandonati 
 qua e là , cari pargoli, 
 abbandonati in incontri 
 precari o in infinite assemblee 
 ma sempre un po’ distratti dall’infinito.[…]” (Andrea Zanzotto – Topinambur in Meteo).

Scoperti nel 1605 dall’esploratore francese Samuel de Champlain, furono importati in Europa sul finire del ’600 dove si diffusero rapidamente divenendo un’infestante.
Il topinambur è un parente stretto del Girasole (Helianthus annuus) anch’esso di origine americana.
Se il secondo è stato coltivato per i semi e per il suo olio, il primo è utilizzato per le sue radici tuberose, dal sapore che assomiglia vagamente a quello di carciofo.
I tuberi, che si cucinano come le patate, sono ricchi di sali minerali come potassio, ferro, rame e magnesio e contengono in grande quantità anche una particolare sostanza chiamata inulina, una molecola, simile all’amido. Essa è costituita da una lunga catena di fruttosio terminante con una molecola di glucosio. Per questa sua caratteristica è assai utilizzata in prodotti alimentari per i diabetici in quanto non stimola la produzione di insulina.
Dove si trova
I topinambur amano molto l’acqua e per questo motivo è facile osservarli lungo i fossi e i rigagnoli. La fioritura autunnale, di un bel giallo solare, li rendono di facile identificazione.


venerdì 23 settembre 2011

LULLABY

Lullaby è una parola inglese che significa "Ninnananna".
Questo Lullaby per arpa è dedicato alla piccola Laura, che da pochi giorni è tra noi, con la speranza che si possa addormentare felice e crescere soddisfatta della vita che le appartiene.

Auguri alla madre Elena e al padre Matteo.


domenica 18 settembre 2011

LA POESIA DI SETTEMBRE

 LA POESIA DI SETTEMBRE

Yume samete
Odoroku yami ya
Aki no kure

Mi desta un sogno
e mi sorprende il buio:
- già tardo autunno -

                      Mizuhara Shūōshi (1892 - 1981) 水原 秋桜子

Commento

In questo haiku, l'autore nulla ci dice sulla natura del sogno. Non sappiamo se sia stato bello o brutto, un incubo o un sogno piacevole. Sappiamo invece che dal sogno l'autore si sveglia e viene sorpreso dal buio. Il termine giapponese odoroku esprime meraviglia quasi come se l'autore, nell'addormentarsi, abbia espesso il desiderio di riposare pochi minuti e invece si accorge che sono passate ore, ed è non soltanto buio ma pure una sera d'autunno. L'haiku nel suo complesso esprime lo stupore del veloce scorrere del tempo e delle stagioni.

Breve Biografia
Mizuhara Shūōshi nasce il 1892 nei pressi di Tokio. Nel 1918 si laurea in medicina e rileva lo studio del padre, anch'egli medico. Lascia la professione medica nel 1956 e da quell'anno inizia il suo pellegrinaggio nei santuari buddisti. Le sue prime poesie vengono pubblicate nella celebre rivista "Hototogisu", con cui collaborerà attivamente. Nel 1931 fonda un proprio movimento, lo "Shinko-haïku," che si propone di rompere con i tradizionali temi poetici.

Piccolo Dizionario Giapponese

Yume = Sogno
Samete = Svegliarsi

Odoroku = Sorpresa
Yami = Buio
Ya = Congiunzione

Aki = Autunno
No = Complemento di Specificazione
Kure = Sera

mercoledì 17 agosto 2011

GRAN TOUR DEL COL OMBERT

GRAN TOUR DEL COL OMBERT

A dispetto del suo nome “col”, l’Ombert è una montagna alta più di 2500 metri (per l'esattezza 2670 metri) la cui forma piramidale la rendono facilmente identificabile dalle montagne circostanti.
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Qua nella foto potete osservare la piccola chiesetta dedicata ai “Caduti della Montagna”. La chiesetta riprende esattamente la forma del Col Ombert che si staglia ben visibile sulla sinistra.
Durata Escursione: Circa 5-6 ore. I tempi sono indicativi e dipendono molto dal vostro stato di allenamento e dalla durata delle soste che fate.
Equipaggiamento: Sebbene sia meglio indossare scarpe o scarponcini da trekking, potete affrontare il percorso anche con robuste scarpe da ginnastica. Nel vostro zaino dovrebbero essere presenti una giacca a vento o un golfino, un ombrello pieghevole, cibo energetico e molta acqua. Evitate di indossare il K-way: salendo sul sentiero suderete e il k-way è perfetto per appiccicarvi addosso. Se avete pelli sensibili proteggetevi con una crema solare.
Difficoltà: da facile a media, con un piccolo tratto difficile.
Per agevolarvi nel percorso l'ho suddiviso in tappe dove, se lo desiderate, potete riposarvi e prendere fiato. Nulla però vi vieta di ridurre le soste. Prima di effettuare il percorso vi consiglio di allenarvi per almeno una settimana.
1° Tappa – Arrivo al Parcheggio.
Da Moena dirigetevi verso Pozza nella Val di Fassa. Qui, nei pressi della gelateria “Leon d’Oro” girate a destra seguendo le indicazione per la Val San Nicolò. Proseguite in auto per circa 10 chilometri. Nei pressi della chiesetta (Malga Crocifisso) prendete la strada a sinistra. All’ingresso della Val San Nicolò vi dovrete fermare nel parcheggio a pagamento: non è possibile proseguire oltre se non a piedi. Scesi dalla vostra auto fermatevi un attimo e guardate alle vostre spalle l’imponente massiccio dei “Gemelli”, due protuberanze rocciose divise da una profonda spaccatura nella roccia. Nella foto i gemelli sono stati ripresi dalla terrazzina panoramica della Malga Taramelli, sul versante opposto.
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2° Tappa – Dal Parcheggio alle Cascate
Durata: 50-60 minuti Difficoltà: facile
Il sentiero, in lieve pendenza,si estende per tutta la Val San Nicolò. Le cascate, non grandissime, si sentono già a una certa distanza, prima ancora di vederle. La meta è anche ideale per un semplice pic-nic sul prato con l’intera famiglia poiché vi si  può giungere anche con le carrozzine. Durante il cammino potete osservare i violetti colchichi (in fioritura verso fine agosto) e il velenosissimo aconito (sia viola che giallo). Da notare i piccoli fienili e le casette con pannelli fotovoltaici. Alle cascate potrete trovare ristoro presso la malga. In agosto vi potrete trovare immersi nella festa locale “A pe' del Mont”, una sorta di percorso gastro-culinario che arriva giusto alle cascate e che vi offrirà assaggi di ogni prodotto tipico.
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3° Tappa – Dalle Cascate alla Valle delle Marmotte.
Durata : 40 minuti – Difficoltà: media
Proseguendo dalle Cascate verso il Pas Paschè, il sentiero vira decisamente verso l’alto. Il primo tratto si snoda nella foresta per poi sbucare tra i pascoli. La Valle delle Marmotte prende il nome per le marmotte che è possibile osservare. Si tratta di una valle stretta e non moto lunga ma interessante in quanto presenta sul fondo enormi blocchi rocciosi distaccatesi dalle cime delle montagne circostanti. Qua e là si possono osservare i resti smantellati delle trincee tedesche della guerra del ‘15-18.
4 tappa – Dalla Valle delle Marmotte al Pas Paschè
Durata: 50 minuti - Difficoltà: inizialmente facile poi media.
Il sentiero che si snoda attraverso la valle delle Marmotte è di facile percorrenza, anche se accidentato, essendo quasi interamente in piano con piccoli tratti in salita. Si percorre tutta in circa 20 minuti. al termine il sentiero si fa decisamente irto e zigzagante. Lungo il sentiero vi segnalo il giallo papavero dei ghiacciai e le bellissime sassifraghe.
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5 tappa – Dal Pas Paschè al laghetto
Durata: 10 minuti Difficoltà: Difficile
Arrivati al Pas Paschè vi potete fermare per una sosta. Al Passo non vi sono malghe per cui non gettate i rifiuti per terra ! Sotto di voi potete osservare il piccolo laghetto di origine glaciale e per raggiungerlo dovete scendere i 5-6 metri di baratro che vi separano. Attenti quindi a dove mettete i piedi, la caduta, anche se non mortale, potrà esservi alquanto dolorosa come è successo a una donna che si è fratturata una gamba (frattura esposta dicono). Non allarmatevi troppo, i soccorsi arrivano subito ! Nella foto potete notare i soccorritori mentre trasportano la ferita. Scendete con calma e mette i piedi sulle piccole sporgenze di roccia.  Dal Pas Paschè prendetevi il tempo che vi occorre per contemplare lo spettacolare panorama.
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6 Tappa – dal Pas Paschè al Rifugio San Nicolò
Durata: 60 minuti – Difficoltà: media.
Dal laghetto scendente verso il basso lungo il pianoro. Da osservare i resti di trincee e le superfici levigate delle rocce affioranti. Se siete fortunati potete ammirare piccole conchiglie fossili incastonate nella roccia. Attenzione ai piccoli crepacci che possono bloccarvi i piedi. Attenzione pure ai segnali del sentiero che non sono ben visibili. Appena sotto il crinale prendete il sentiero in salita e vi ritroverete in un battibaleno in mezzo al ghiaione del Col Ombert, circa un centinaio di metri sotto la vetta. Fate attenzione perché è facile scivolare sulla ghiaia.Vi potrà essere utile fischiettare un allegro motivetto ! Mi dicono che un tempo era possibile scendere direttamente dal ghiaione, lasciandosi trasportare dai sassi. Io non so se sia vero ma vi sconsiglio di provare questa esperienza, meglio lasciarla alle persone più esperte di me in escursioni.
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7 Tappa  Dal Rifugio San Nicolò al Parcheggio.
Durata: 90  minuti – Difficoltà: da Media a Facile.
IMG_1019Arrivati al Rifugio San Nicolò potete rifarvi gli occhi con la splendida vista della Valle da un parte e del Gruppo del Sella dall’altra. Il rifugio è dotato di servizi igienici e di generi di conforto. Approfittatene !!! Da Rifugio San Nicolò ora dovete solo scendere. Il sentiero è molto in pendenza fino alle cascate, poi si fa pianeggiante fino al parcheggio.IMG_1018
8 Tappa -  Il Leon d’Oro
Durata: quanto basta - Difficoltà: da facile a difficile
Questa ottava tappa è da considerarsi una sorta di premio alle vostre fatiche. La gelateria “Leon d’Oro” è sita nella cittadina di Pozza, proprio all’imbocco della strada per la Valle. Vi assicuro che ne vale la pena e vedendo la loro coppa di gelato vi renderete conto di quanto sia estremamente difficile (ma non impossibile) finirla tutta. Personalmente vi consiglio lo Yogurt con i frutti di bosco e/o il maxi-cannolo alla crema !
Non mi resta che augurarvi buona fortuna e buona escursione.

venerdì 5 agosto 2011

LA PIANTA DEL MESE DI AGOSTO


ALTEA

Famiglia Malvaceae
Nome botanico: Althaea officinalis
Nomi volgari: Altea, Bismalva, Malvone

Descrizione: Pianta di colore grigio feltroso, di 50-120 cm; foglie con 3-5 lobi, grigio-feltrose, alterne; fiori riuniti in corrispondenza delle ascelle fogliari, larghi 3-5 cm, di colore lilla pallido, raramente bianchi; 7-9 lobi dell’epicalice, lanceolati, più corti dei sepali ovato-acuminati.
Il frutto è circolare, peloso, avviluppato dal calice e costituito di numerose capsule che si separano alla maturità. Fioritura da giugno ad agosto.

Etimologia: il nome del genere “Althaea” deriva dal greco e significa “Curare”. Il termine della specie “officinalis” indica invece che la pianta ha virtù medicinali

Curiosità
La famiglia delle Malvaceae, a cui l’Altea appartiene, conta circa un migliaio di specie tra cui i generi Malva, Hibiscus e Gossypium (cotone).
Da sempre questa pianta è stata utilizzata da numerosi popoli per le sue proprietà medicinali e fonte di storie e leggende.
Presso i greci Altea era il nome di una famosa guaritrice nonché madre di Meleagro. A lei le Parche predissero che la vita del figlio sarebbe terminata quando il ceppo nel focolare sarebbe stato consumato totalmente dal fuoco. Altea corse quindi a levarlo mezzo bruciacchiato e lo conservò gelosamente. Divenuto adulto Meleagro, durante una battuta di caccia con i fratelli della madre, uccise il cinghiale di Calidone e ne donò la pelle ad Atalanta di cui si era invaghito. Ne nacque così una disputa con gli zii che non reputavano giusto donare un premio a una donna. Meleagro offesosi li uccise tutti a colpi di lancia. La madre in un eccesso d’ira prese il tizzone che custodiva con cura e lo rigettò nel fuoco determinando così la morte improvvisa del figlio. Poi presa da rimorso si suicidò.
Presso i romani un piatto a base di radici di altea era considerato una delicatezza mentre in Giappone tre foglie di altea stilizzate inscritte in un cerchio erano il blasone (in giapponese mon) della nobile famiglia Tokugawa (shogun dal 1603 al 1868).
Gli inglesi la chiamano Marsh Mallow (letteralmente “malva delle paludi”) e anticamente con le sue radici si faceva il dolce omonimo.
Citata sia da Plinio che da Virgilio la pianta di altea contiene mucillaggini (6-9% nelle foglie, 10-15% nelle radici), amidi, ossalato di calcio e asparagina.
In erboristeria, a causa del suo alto tenore di mucillaggini, possiede azioni emollienti e la si usa sotto forma di infuso per gargarismi e colluttori nei casi di stomatite, gengivite, glossite, nei casi di irritazione cutanea, in alcune malattie dell’apparato digerente e per mitigare l’azione di alcuni farmaci irritanti.
È importante far notare che l’infuso a freddo possiede proprietà emollienti mentre l’infuso a caldo ha proprietà astringenti.

Dove si trova
L’altea ama i luoghi paludosi ed è quindi possibile osservarla lungo le rive di fossi incolti e lungo le sponde dei canali.

mercoledì 6 luglio 2011

NADEYA ovvero LA GIOVINEZZA DI UN RE


Vorrei narrare una storia che finisse con "e vissero tutti felici e contenti". Ma non è così.
Nadeya, del compositore rivarolese Cesare Rossi, è una opera melodrammatica scritta sulle parole di Luigi Illica, il "paroliere" di molte composizione di Puccini. Essa venne messa in scena nel maggio del 1903 a Praga, in lingua tedesca, e successivamente a Mantova nel 1904, in lingua italiana.
Proprio in quel periodo vi era una guerra dichiarata tra le due maggiori case discografiche, la Ricordi e la Sonzogno. La guerra culminerà in veri e propri atti di sabotaggio "musicale" ai danni una dell'altra. Basti pensare alle due Boheme. La prima di Leocavallo, campeggiata da Sonzogno, la seconda di Puccini, supportata da Ricordi. Ambedue, nonostante un tacito accordo, vennero messe in scena non solo lo stesso giorno ma pure nella stessa città, Venezia. Vi lascio immaginare l'esito: Puccini fece quasi del tutto dimenticare Leoncavallo.
Pochi anni più tardi, Sonzogno si vendicherà pagando veri "fischiatori" professionisti alla prima della "Madame Butterfly" di Puccini, una delle opere italiane più amate.
La guerra tra le case coinvolgerà anche il nostro Cesare Rossi, reo di aver introdotto un'aria nella sua Nadeya. Se ne accorgerà un certo Umberto Giordano, uno dei più importanti compositori del primo novecento. Egli aveva introdotto nella sua "Siberia" del 1904, scritta anch'essa su testo di Luigi Illica, la stessissima aria. Più volte aveva scritto a Illica chiedendogli di intercedere presso lo stesso Rossi in maniera che quest'ultimo togliese l'aria incriminata, dopotutto il Rossi l'aveva utilizzata una sola volta mentre lui l'aveva impiegata più volte. Cesare Rossi non mollò e il tutto si risolse in una accusa di plagio. In realtà il plagio non sussisteva in quanto entrambi i musicisti avevano tratto l'aria da un canto popolare russo, il canto dei vogatori del Volga, ognuno all'insaputa dell'altro. Venne istituito il processo che si concluse contro lo stesso Cesare Rossi, in parte perchè il compositore aveva deciso di non combattere più di tanto. L'opera Nadeya venne quindi, nonostante il grandissimo successo iniziale, ritirata dai teatri e riformulata sottoforma di opera per canto e pianoforte, per poi, dal 1925 in poi, sparire definitivamente dai tabelloni teatrali.
Miglior sorte non ebbe "Siberia", guarda caso ambientata quasi negli stessi luoghi di "Nadeya". Umberto Giordano se ne era affezionato a questa sua opera musicale, e la considerava la sua miglior creazione. Ciò nonostante la si ascolta raramente, soppiantata da opere certamente più famose.
Fu così che "il canto dei condannati", utilizzato sia in "Siberia", sia in "Nadeya", venne dimenticato. Oggigiorno sembra sparito anche lo spartito orchestrale. Una vecchia storia rivarolese narrà che tale spartito sia stato in possesso di Gorni Kramer, uno dei compositori rivarolesi più noti. Non lo sappiamo.

Qua Maria Caniglia canta "Qual vergogna" da "Siberia"

Fin qui la storia, ma ce ne è un'altra non scritta che mi ha coinvolto personalmente.
Tutto inizia nel 2004. All'epoca sapevo del plagio (tutti i bravi rivarolesi la conoscevano), ma conoscevo poco e nulla di Cesare Rossi, nonostante abitassi, e abito ancora, nella via a lui dedicata. Non conoscevo Nadeya e non conoscevo Siberia. Nel 2004 mi recai in villeggiatura a Chienes, in Val Pusteria, a pochi chilometri da Brunico. Un giorno decidemmo di recarci a piedi a Brunico, sono circa 10 chilometri lungo un tragitto dolcemente ondulato. Qui a Brunico decidemmo di fermarci e prima della visita alla cittadina ci fermarmmo a mangiare nei pressi della collina che domina la città. Finiti i panini andammo in esplorazione, qualcosa mi attraeva verso la cima. Capitammo così nel cimitero militare di Brunico. Ricordo i vialetti che si intersecavano, le aiuole ben ordinate, il silenzio tra le croci, i nomi e le età, tutti giovanissimi, dei morti.
Alla sera sognai. Ero nel camposanto di Rivarolo. Esattamente nel centro, proprio là dove sorge il monumento ai dispersi in guerra. Improvvisamente mi spuntarono ali d'aquila che mi trasportarono in alto. Vidi Mantova, il Mincio, il Garda, Trento, l'Adige e Brunico con il suo cimitero militare. Sotto di me centinaia di fiammelle ondeggianti. Atterrai nel mezzo e davanti a me si elevo verso il cielo una colonna di luce in cui vorticavano vari spiriti. Li sentivo cantare una melodia meravigliosa, quasi angelica. Piansi e mi risvegliai piangendo.
Due anni più tardi seppi che quella melodia era il perduto canto dei condannati.
Ma tutto non è perduto. Youtube in questo ci da una mano ed ecco, solo per voi, "Il canto dei condannati", tratto da "Siberia". Anche se le parole cambiano, la melodia è la stessa contenuta in Nadeya.



lunedì 4 luglio 2011

LETTO PER VOI


1891
"Questa storia ha inizio in una citta di ossa. Nelle vie dei morti. Nei viali silenziosi, nei passaggi e nei vicoli ciechi del cimitero di Montmartre, a Parigi, un luogo abitato da tombe e angeli di pietra, e dagli spiriti vaganti di chi è stato dimenticato prima ancora che il suo corpo  diventasse freddo nella fossa".

Inizia così, l'incipit, di questo romanzo sul genere mistery. Si narrano le vicende di due donne separate da circa un secolo di distanza. La prima è Leonie Vernier, sorella di Anatole Vernier, di diciasette anni, suo malgrado coinvolta nelle oscure faccende del fratello.
L'altra è Meredith Martin, giovane ricercatrice, che dall'America, dove è sempre vissuta, si reca in Francia sulle tracce di Claude Debussy, uno dei più importanti compositori del primo novecento francese. L'intento di Meredith si scontra però con la voglia di scoprire le radici del suo passato che si è svolto in Francia circa un secolo prima. Ad accomunare le vite di queste due donne vi è uno strano e diabolico mazzo di tarocchi, dal potere occulto di richiamare il male che circonda i vivi.
Nel romanzo non manca la storia d'amore, tra l'altro appena accennata, e i cattivi (di cui non vi dirò il nome per non rovinarvi il gusto della lettura).
Uno dei protagosti secondari è la musicache qua e la pervade il testo: la ricerca su Claude Debussy, le note dipinte sull'orlo della gonna di uno dei tarocchi (scoprite voi quale), il tumulto parigino della prima di Thannhauser di Wagner, lo strano spartito perduto e ritrovato, la musica inquietante che Leonie a un certo punto riesce a udire, ecc.
Non mancano nemmeno accenni ai temi tanto cari a Voyager: templari, Rennes-le-Château, Carcassonne, e l'abate Berenger Sauniere, giusto un tocco o come dicono i farmacisti q.b. (Quanto Basta).
La lettura è piacevole e scorre parallela tra passato e presente, travolgente al meno fino al penultimo capitolo.
Come è scirtto nel libro: "Fujhi, poudes. Escapa, non" ("Fuggire puoi. Salvarti, no")

mercoledì 29 giugno 2011

ANGOLINO POLITICO

 ANGOLINO POLITICO
(a norma dell'art. 21 della costituzione italiana: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione").


Non chiamatela "guerra in Libia", ma "missione di pace" in Libia;

Non chiamatela "Aumento delle tasse", ma "rimodulazione";
Non chiametala "aumento del'IVA", ma "diminuzione dell'IRPEF";
Non chiamatela "aumento dell'età pensionabile", ma "prolungata possibilità di lavoro";
Non chiamatele "intercettazioni", ma "violazione della privacy";
Non chiamatele "put***ne", ma "escort";
Non chiamateli "precari", ma "fannulloni che non cercano lavoro";
Non chiamatela "P4", ma "rapporto normale tra Stato e privati";
Non chiamateli "Evasori", ma ringranziateli perchè sono loro che fanno circolare i soldi;
Non chiamateli "corrotti", ma eleggeteli a senatore, deputato, sottosegretario o ministro;
Non dite "No al Nucleare", ma "siamo troppo sconvolti per Fukushima, ne riparleremo più avanti";
Non dite "No all'acqua pubblica", ma "il privato è meglio ed è più efficiente";
 

Qualcuno dice che "non siamo messi come la Grecia", ma perchè allora facciamo le stesse cose ?

Non so voi ma io mi sento un tantino preso in giro.

lunedì 20 giugno 2011

LA POESIA DEL MESE DI GIUGNO

LA POESIA DI GIUGNO

Crudele il destino
mi colpì
come un fulmine il cielo.
Mi porto la pazzia
e zanne e artigli di belva feroce
che nessuno osa sfidare.

Cosa rimane della gloria passata ?
Tu vai in carri dorati
e io striscio per terra.
Questo dolore dicevo stanotte
ruggendo alla luna
che illumina il monte.
                                  (Nakajima Atsushi, 1909-1942)

Nakajima Atsushi, nato a Tokio nel 1909, è considerato da molti, essere appartenente a quella che viene definita della generazione "maledetta", non tanto per la vita dissoluta, ma per la brevità della sua esistenza. Morì a soli 33 anni per una semplice e banale polmonite. Dal nonno Nakajima apprende i primi rudimenti della lingua e cultura cinese e l'amore per le lingue straniere: sembra che parlasse correntemente il francese, il cinese, il tedesco e l'inglese e che avesse iniziato gli studi per il latino e il greco. La sua biblioteca personale, ora appartenente all'università di Tokio, contiene moltissimi libri degli argomenti più disparati, molti in lingua originale. Poco più che ventenne diventa professore di letteratura inglese e giapponese presso un liceo di Tokio. Pochi mesi prima di morire lascia il liceo e si trasferisce nelle isole Palau, a quei tempi possedimento giapponese, ed è qui che troverà molte analogie con il suo mito letterario, quello di Stevenson, autore da lui amato e di cui scriverà un romanzo biografico, "Luce, vento e sogni".
Il componimento qui postato è contenuto nel suo racconto "Cronaca della luna sul monte" (Sangetsuki).
Il protagonista è il cinese Li Zheng. Egli ha solo un sogno: quello di diventare un poeta stimato e famoso. L'orgoglio di considerarsi il miglior poeta e la sua superbia lo portano a considerare gli altri quasi con disprezzo, degli esseri inferiori. Nonostante i suoi sforzi, non riesce nel suo intento ed è costretto, per sfamare la moglie e i figli, ad accettare un lavoro come funzionario statale di basso rango. I suoi colleghi di un tempo, che cosiderava delle nullità, nel frattempo avanzano di grado e lui si ritrova ad essere un loro sottoposto. L'orgoglio ne viene ferito al punto che lentamente l'amarezza di ciò che non è diventato e la disperazione lo divorano dall'interno. A poco a poco, come nella "Metaformosi" di Kafka, si trasforma, spuntano gli artigli e le zanne, la sua voce si muta in un ruggito e diventa una feroce tigre. E al poeta di un tempo non rimane altro che ruggire alla luna impotente. Sul far del giorno, prima dell'alba, gli viene concessa la possibilità di essere umano per qualche minuto e sotto questa forma esprime, davanti a un vecchio amico che non vedeva da tempo, la poesia sopra citata.

giovedì 9 giugno 2011

lunedì 6 giugno 2011

POSTE DI CASA NOSTRA

Venerdì 3 giugno. 
Dopo il lavoro, verso le 12.30, prendo la posta dell'ufficio da spedire. Chiedo i soldi a quel tirchio del capo che con riluttanza me li concede. Vado nell'ufficio postale più vicino e neanche il tempo di entrare che mi sento dire "É tutto bloccato !".
"Vabbè", rispondo, "spedirò domani" ed esco.

Sabato 4 giugno
Mi reco nuovamente alle poste per spedire le mie raccomandate. L'ufficio è quello del mio paese. Dentro vi sono dei pensionati che attendono di ritirare la pensione. Vi sono anziani in altra concentrazione. Io, da buon cittadino, mi accodò. E attendo. E attendo. E attendo. E attendo il mio turno. Una musichetta mi risveglia dall'oblio dei miei pensieri. É la sigla di apertura di Windows. La cosa mi preoccupa un tantino. La fila procede. Era un falso allarme. Un sospiro di sollievo, un fazzoletto sulla fronte per detergermi il sudore che cola e riprendo ad attendere. Passa un un'ora (gli anziani sono lunghi a riscuotere la pensione). I pensionati iniziano a fare i loro calcoli "Allora lei è venuto prima o dopo di me ?...no, ci sono prima io, poi ce lei mentre lei è venuta dopo" sento esclamare. "Ancora uno" penso invece io. Ecco è venuto il mio turno. Ci siamo. Mi avvicino allo sportello con le mie raccomandate in mano come un corridore olimpionico in procinto di varcare il fotofinish...maledetta musichetta di apertura di windows.
"Mi dispiace", fa la postina, "si è bloccato tutto !". Disperato nascondo le raccomandate e supplichevolmente chiedo "Non è che potrebbe gentilmente darmi dei francobolli ?". E lei, sillabando bene le parole, neanche fossi un extracomunitario, "NO, NON POSSO. HO IL COMPUTER BLOCCATO".
Esco dalle poste seguito dallo scodazzo di tutti i pensionati. Mi reco dal tabacchino. Chiedo i francobolli e racconto l'accaduto. Loro, i gestori, si mettono a ridere. "Siamo in Italia, tesoro".

E ora immaginate per un attimo se il blocco delle poste a livello nazionale (iniziato il 1 giugno 2011) avvenisse su una centrale nucleare ! Se ci avete pensato correreste come il vento il 12 e 13 giugno a fare la crocetta sul "SI" del referendum per abrogarlo. Così in caso di esposione non sentireste la fatidica frase "Siamo in Italia, tesoro".

domenica 5 giugno 2011

PROBLEMI D'ACCENTO

Nell'era del progresso scientifico e tecnologico, spesso la tecnologia moderna porta dei problemi anzichè risolverli.
Le tastiere di un computer normalmente è suddiviso in tre parti: nella parte in basso a sinistra potete trovare il blocco dei tasti alfabetici, in alto vi sono i tasti delle funzioni, contrassegnati con F1, F2...F12, e in basso a destra vi è il blocco dei tasti numerici (i tasti numerici compaiono anche sotto i tasti funzione, ma essi sono informaticamente diversi).
Se osservate la vostra tastiera noterete che non compaiono le lettere accentate maiuscole, ma solo quelle minuscole. E allora come fare a mettre una lettera accentata maiuscola nei vostri testi ?
Ecco alcune soluzioni:
1) la stragrande maggioranza di voi scrivera la lettera maiuscola a cui aggiungerà l'apostrofo come in "E'". Da notare che mettete l'apostrofo e non l'accento perchè pure il segno d'accento non è contemplato nelle tastiere;
2) Potete utilizzare il linguaggio HTML, se conoscete il codice. Potete trovare i codici HTML in wikipedia e poi fare un semplice copia e incolla.
3) I più fortunanti di voi ricorreranno ai codici ASCII. Tali codici, facilmente rintracciabili in internet, si possono inserire utilizzando la combinazione di tasti ALT + (codice numerico). Mi raccomado il tasto ALT va tenuto premuto mentre digitate il codice numerico dal blocco dei tasti numerici.
4) Sfortunatamente alcuni portatili non hanno la tastiera con il blocco numerico a destra e quindi non è possibile utilizzare i codici ASCII, tuttavia è ancora facile inserire le maiuscole accentate: è sufficiente scaricare una apposita barra verticale dal sito della lexicon che potete trovare qui. Scaricate la lexibar della lingua che vi interessa (io utilizzo la lingua italiana e latina, ma voi potete scaricare la lingua spagnola, francese o tedesca o tutte), installate il programma e ogni volta che vi serve lanciatela dal desktop. Per utilizare la lettera accentata che vi serve (così come i segni diacritici) trascinatela dalla Lexibar al punto del vostro cursore e voilà avete la vostra maiuscola accentata proprio come queste "É, Ò, Ù, Ì, À, Ū, Œ" e altre.

mercoledì 18 maggio 2011

OMAGGIO A JOHANN SEBASTIAN BACH

Prendendo la palla al balzo lanciata dalla mia amica Elena, vi posto il film "Sul nome Bach" di Francesco Leprino. Nel blog di Fiordiligi di Elena potete trovare tutte le informazioni che potete leggere qui. Io mi limito a proporvi l'interessante film-documentario sulla vita di Bach lasciando ad altri, ben più esperti di me in musica, il compito di commentarlo.
Il film inizia dalla fine, quando Johann Sebastian Bach, ormai cieco, viene sottoposto a una operazione di rimozione di cataratta. E' il 1750 e il nostro Johann sembra soffrire, dai sintomi descritti, di glaucoma. L'operazione, visto le scarse concoscenze scientifiche del tempo, non ha successo ma il 18 luglio, in maniera improvvisa, Bach riacquista la vista, appena in tempo per morire poco dopo a causa di un ictus. E' il 28 luglio 1750. Bach ci lascierà in eredità una produzione sterminata, tra cantate, lavori per organi, studi, suite, e una ventina di figli, molti dei quali continueranno l'opera del padre.


Preludio


Parte 2 - Eisenach


Parte 3 - I primi anni a Lipsia


Parte 4 - Anna Magdalena e Figli


Parte 5 - Conflitti


Parte 6 -Un grande Clan...


Parte 7 - Harmonia Mundi


Parte 8 - Nella mia fine è il mio inizio

sabato 14 maggio 2011

LA POESIA DEL MESE DI MAGGIO


 LA POESIA DEL MESE DI MAGGIO

Onozukara
tsuki yadoru beki
hima mo naku
ike ni hachisu no
hana sakinikeri


Spontaneamente,
come la luna
che non si ferma,
sboccia nel laghetto
il fiore di loto.

Saigyō (Satō  Norikiyo) (1118-1190)

Breve Biografia:
Nato a Tokio nel 1118 da un samurai, venne subito educato rigidamente alle arti marziali e alla letteratura. A 18 anni di arruola nelle guardie private dell'imperatore Toba, arrivando in breve tempo al grado di capitano e godendo della stima di tutti. Dopo appena cinque anni di vita militare, in una notte di luna del 1140, smette le vesti di capitano imperiale e si fa monaco cambiando il proprio nome in Saigyō (letteralmente "andare verso l'Occidente"), gettando in confusione l'intera corte imperiale. Da questo momento poi abbandonerà ogni cosa per vivere in solitudine in un eremo, alla ricerca della illuminazione buddista che gli permetteranno di entrare nel Paradiso d'Occidente della Terra Pura. La solitudine dell'eremo, così tanto ricercato da Saigyō verranno di tanto in tanto interrotti da vari pellegrinaggi, a volte estenuanti e difficili. Anni prima aveva composto un tanka, assai famoso in Giappone "Vorrei morire / a primavera / sotto i ciliegi in fiore / nella luna piena / del secondo mese". Ciò si verificherà il 16 febbraio 1190.
Così come Bashō è considerato il massimo poeta di haiku, Saigyō sarà ricordato come il massimo poeta di tanka e anche come il poeta, che più di ogni altro ha cantato la luna e i fiori.

Piccolo Dizionario: Hana letteralmente significa "fiore". Quando compare da solo, senza altra denominazione, il termine hana si riferisce al solo fiore di ciliegio per il quale i giapponesi vanno pazzi tanto da festeggiarne la fioritura con veri e propri bollettini meteo. In questa poesia hana è accompagnato da altri due termini che lo fanno indentificare con il fiore di loto (hachisu no hana).

Commento: Tecnicamente questo componimento è un tanka essendo composto da 5-7-5-7-7 sillabe suddivise su 5 strofe. La poesia ci rimanda a una splendida visione notturna che mette in connessione tra di loro il lento movimento della luna nel cielo con il lento sbocciare del fiore di loto dai mille petali
Se si potesse commentare la poesia con una frase si potrebbe dire "Così in cielo, così in terra".
Due sono i sostantivi su cui poggia il componimento, la luna che si muove in cielo, e il fiore di loto, che lentamente dispiega i suoi petali. Entrambi i movimenti sono inarrestabili, non si possono fermare, sono inesorabili e rafforzano insieme la visione notturna di pace e tranquillità che traspare tra le righe.

domenica 8 maggio 2011

venerdì 6 maggio 2011

CONTRO IL NUCLEARE

 
 
Il nucleare in Italia, si sà, è stato bloccato da un referendum del 1987. Il 12 e 13 giugno si voterà (forse) di nuovo per un referendun che ancora una volta (e non bastava il primo ?) si ripropone per l'abrogazione dello sviluppo del nucleare in Italia. E nei nostri stati confinanti, Svizzera e Francia in primis, cosa succede ?
C'è lo spiega una trasmissione della Radio Televisione Svizzera Italiana. Il nome di questa trasmissione, simile come taglio al nostro "Report" di Rai Tre, è Falò.

Il Link sono qui sotto:

http://la1.rsi.ch/falo/welcome.cfm?idg=0&ids=955&idc=41905
 
http://la1.rsi.ch/falo/welcome.cfm?idg=0&ids=955&idc=41906

Fate copia e incolla nella barra degli indirizzi, linkate sul video in streaming e inorridite di quello che sta succedendo in Francia e in Svizzera.

mercoledì 4 maggio 2011

ALBERO DI GIUDA


Cercis siliquastrum - Judasbaum by steffi's

L’ALBERO DI GIUDA

Famiglia: Leguminosae
Nome botanico: Cercis siliquastrum

Descrizione: altezza 8 m (30 m); chioma irregolarmente sferica, espansa; tronco eretto, sinuoso; rami flessuosi; corteccia nerastra con screpolature brune;
Fogliame: deciduo; Foglie: semplici, rotonde, reniformi, di 5-10 cm di diametro, margine intero, sopra lucide, con nervatura a ventaglio; l’apice termina con una piccola punta; picciolo di 5 cm; inserzione alterna; Fiori in brevi racemi di 3-6 fiori, anche sul tronco; fiori papilionati di 2 cm, rosso-violacei, simili a quelli di pisello; fioritura da marzo a maggio, prima delle foglie;
Frutti: legumi di 10-15 cm, piatti, prima porporini, poi a maturità bruni, attaccati alla pianta fino all'inverno.

Etimologia: Il nome del genere “Cercis” deriva dal greco e significa “spola” in riferimento alla forma dei baccelli simili allo strumento utilizzato per la tessitura; il nome della specie “siliquastrum” indica la somiglianza dei frutti con quelli del carrubo (Ceratonia siliqua).
Il nome volgare di “albero di Giuda” è probabilmente una storpiatura del nome di “albero della Giudea”, regione dell’attuale stato di Israele dove l’albero è molto diffuso.

Curiosità
Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. Poi, messolo in catene, lo condussero e lo consegnarono al governatore Pilato. Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d`argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “Che ci riguarda? Veditela tu!”. Ed egli, gettate le monete d`argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.
(Mt 27, 1-5, Versione CEI del 1974).

Fin qui la bibbia ! La tradizione popolare ha subito cercato di individuare l’albero in questione e il volgo ha intravisto nei rami contorti e slanciati di questa pianta, i candidati ideali su cui Giuda si sarebbe tolto la vita. La leggenda inoltre indica nei colore dei fiori le lacrime di Cristo, scaturite per la vergogna del tradimento compiuto.
In Spagna lo stesso albero è detto “albero dell’amore” in quanto porta fortuna baciarsi sotto le fronde in fiore.


La ricerca ossessiva di un di un candidato ideale su cui il discepolo si sarebbe suicidato, ha generato in passato una vera e propria selva di alberi, un esercito di arbusti, tutti scaturiti dalla fervida e fantasiosa mente popolare, che ha voluto così tappare le numerose “lacune” della Bibbia. La lista di tali piante è lunga e comprende specie molto lontane tra loro. Tra di esse citiamo la rosa canina (in tedesco i frutti vengono chiamati Judasbeeren ossia “bacche di Giuda”), il fico selvatico (a causa del gesto, il fico selvatico non riuscirebbe a portare a maturazione i suoi frutti), il carrubo selvatico, il pioppo tremulo (in Russia si dice che le foglie iniziarono a tremare nell’aria proprio a causa del suicidio di Giuda), il tamerice, lo spino di Giuda, e molti altri.

Il legno è impiegato in lavori di ebanisteria e al tornio, grazie alla durezza e al bel colore rosso venato di scuro. Ha proprietà tintorie. I fiori sono eduli previa conservazione sotto aceto, oppure possono essere consumati freschi in insalata assieme ad altre verdure; eduli sono pure i semi, farinosi ed energetici.
Una particolarità di quest’albero è dovuto a un fenomeno botanico non molto diffuso nel regno vegetale: si tratta della caulifloria ovvero dalla comparsa di fiori non solo sui rami, dove è normale che appaiano, ma anche direttamente dal tronco.





sabato 23 aprile 2011

MUSICA PER IL SABATO SANTO

Per antica tradizionale cristiana il Sabato Santo è l'unico giorno dell'anno che è aliturgico. In questo giorno, che va dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato, non si celebra nessuna liturgia, le campane non rintoccano e tutto tace a rappresentare il silenzio di Dio.
Il Sabato Santo è il giorno della misericordia divina. Solo con la grande messa pasquale (Liturgia dell'acqua, del fuoco, della parola di Dio) il silenzio viene spezzato e sostituito dalla gioia pasquale dell'avventuta resurrezione.
A conseguenza di ciò ho scelto un Miserere. Ve ne sono tanti ma quello che ho postato per voi è di Jan Dismas Zelenka (1679-1745). Questo Misere si distacca moltissimo da quello dei suoi contemporanei. Stimato da Sebastian Bach, Zelenka venne rapidamente dimenticato subito dopo la sua morte.

MUSICA PER IL VENERDI' SANTO

Nel 1785 il vescovo di Cadice in Andalusia commissionò a Franz Joseph Haydn un grande oratorio da eseguirsi in chiesa durante la settimana sante. Nacque così uno dei capolavori di musica sacra di Haydn "Le ultime sette parole di Cristo in croce". Questa composizione consta di sette sonate, distribuite in maniera anomala in quando, contrariamente alle usanze musicali del tempo, Haydn accostò, invece di alternare, sonate a ritmo lento con altrettante sonate dal ritmo analogo.
La composizione ebbe un così rapido successo che lo stesso Haydn dovette pubbllicare diverse versioni, per coro, per orchestra, per piano solo, per due organi , ecc.
Quello che vi presento è la settima sonata, nella versione per orchestra, che si conclude con il "terremoto".



In quest'altra versione per coro e orchestra il finale del terremoto è più accentuato e si presenta in tutta la sua drammaticità.

venerdì 22 aprile 2011

MUSICA PER IL GIOVEDI' SANTO

Per il giovedì santo vi propongo il bellismo "Agnus dei" , composto nel 1938, del composiotre americano Samule Barber (1910-1981). Questa sua composizione è anche conosciuta come "Adagio per Archi" e originariamente faceva parte del secondo movimento del quartetto per archi, Op. 11.


mercoledì 20 aprile 2011

MUSICA PER IL MERCOLEDI' SANTO

Per il Mercoledì santo la scelta non poteva che cadere su "Troisième Leçon de Ténèbres pour le Mercredi Saint" di Francois Couperin (1668-1733).

Couperin scrisse Le "Lezioni di Tenebre" per la settimana santa del 1714. Essa è composta da tre pezzi. Quella che vi presento è la terza composizione, giudicata da molti la più bella.
L'intero testo è tratto dalle "Lamentazioni di Geremia" in cui il profeta biblico si lamentava della sorte spettata a Gerusalemente dopo essere stata distrutta dai babilonesi. Il testo è in latino ma le iniziali del testo ebraico vengono vocalizzate dalle due cantanti.
In questa versione la voce umana è accompagnata dal clavicembalo (Couperin era un noto clavicembalista francese), in altre versione vi è l'accompagnamento dell'organo.

martedì 19 aprile 2011

MUSICA PER IL MARTEDI' SANTO

Poichè si sta avvicinando la Pasqua e questa è la Settimana Santa, e poichè fino al giorno del mio esame, che avrò subito dopo Pasqua, non riesco a postare la poesia del mese, ho pensato di farvi ascoltare della musica adatta per l'occasione.
Una sorta di Settimana Santa espressa in musica.

Per il Martedì Santo ho pensato a uno splendido canto gregoriano.

"Ubi Caritas et amor" di Maurice Duruflè (1902-1916).

giovedì 14 aprile 2011

AMARCORD...

"Amarcord" è una parola dialettale che significa "mi ricordo".
Intorno agni anni '80 la RAI aveva trasmesso una serie televisiva a carattere fantascientifico. All'epoca ero adolescente. I miei ricordi sono in bianco e nero ed è rimasto ben poco nella mia mente, giusto solo una nebulosa reminescienza dell'astronave a forma di cabina telefonica e naturalmente il nome, "Doctor Who". É appunto questo nome che sporadicamente compariva all'improvviso nelle mie letture e mi si è incastrato tra un neurone e l'altro, fino a qualche giorno fa quando, per caso, mi sono imbattuto su RAI 4 nella prima puntata della quinta stagione.

Dottor Who, è stata, per circa 30 anni, una serie televisiva cult e molto Very British. Prodotta sempre dalla BBC ha avuto, fin da subito, molti fans e molti seguaci e ammiratori. In Inghilterra, dove la trasmissione ha avuto successo fin dal'esordio, ha provocato una quantità abnorme di pubblicazioni, di libri (sia per ragazzi che per adulti) e la creazione di numerosi gadget come portachiavi e pupazzetti vari. Poi, come tutte le cose, ha avuto termine. Sul finire degli anni ottanta, la serie fantascientifica è andata in soffitta.
Il progetto di una nuova serie è poi stata ripresa, sempre dalla BBC, intorno al 2005 e, complice anche i nuovi effetti speciali, resi possibili dalla tecnologia, Doctor Who è ritornato agli antichi splendori con un incredibilmente successo.
Tutte le storie sono incentrate sulle avventure di un extraterrestre che si fa chiamare semplicemente "Il dottore", unico sopravvissuto della sua specie, e in grado di viaggiare nel tempo. La sua astronave blu, a forma di caratteristica cabina telefonica inglese, si chama TARDIS (è l'acronimo di "Time And Relative Dimension In Space" ovvero "Tempo e Relativa Dimensione nello Spazio"). Possiede una caratteristica assai strana: è molto più grande internamente che esternamente (molto comodo se vivete in una zona densamente abitata). Il dottore si può rigenerarsi per non più di dodici volte (anche questo molto utile). Attualmente siamo già all'undicesimo dottore, il penultimo.
Un pò horror, un pò surreale e anche un pò pop, sono questi gli ingredienti che lo hanno reso molto popolare nelle TV di mezzo mondo.
Se ancora non lo avete mai visto eccovi il trailer della quinta stagione.

sabato 26 marzo 2011

MUSICA DODECAFONICA PER CHI NON SUONA

Per molti appassionati di musica classica, la dodecafonia rappresenta la parte più indigesta. Ma che cos'è la dodecafonia ? Il termine, mutuato dal greco, significa "dodici note". Qualcuno obbietterà: "Ma non erano sette ?" Per poter spiegarvi cos'è partiamo da un compositore, ovvero lui:






Il suo nome è Arnold Schönberg (1874-1951), compositore appartenente alla seconda scuola viennese (alla prima appartenevano Mozart, Haydn, Brahms, ecc). I suoi esordi sono del tutto normali e le sue primissime composizioni riflettevano lo stile in voga nel periodo in cui visse: a quei tempi erano di gran moda le musiche e le opere di Wagner e Strauss [che non è quello dei valzer ma un'altro] e le sinfonie di Mahler). Poi, così come successe anche in campo poetico, decise per la sovversione di tutte le regole matematiche che sull'armonia si erano fino allora appoggiate, fino a crearne di nuove e rompere in maniera definitiva con il passato.
E' così che nacque la musica dodecafonica. Ma cos'è esattamente ?
Per spiegarvelo dovete sedervi a un pianoforte. Lo avete fatto ? Ops, non avete un piano ? Ve lo fornisco io !


Se lo osservate attentamente noterete che un pianoforte è costituito da una successione di tasti neri e bianchi. I tasti bianchi rappresentano una nota mentre i tasti neri una seminota (si chiamano diesis oppure bemolle a seconda del tasto bianco di riferimento). Se siete molto attenti noterete anche che i tasti neri non sono distribuiti in maniera uniforme: sono infatti ragruppati a due o a tre e servono, non solo a fare musica, ma pure per orientare il pianista sulla tastiera. Partendo dal do (guardando la figura è il tasto bianco subito prima del terzo tasto nero da sinistra) e andando al successivo do conterete esattamente sette tasti bianchi corrispondenti alle sette note naturali: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si. Ed è su queste sette note che si appoggiano tutte le regole dell'armonia, sia musicali che matematiche. Tra un Do e l'altro sono quindi compresi cinque tasti neri.
Il nostro Schönberg, che era un innovatore e amava divertirsi con la musica, decise che era giunto il momento di sovvertire le regole e di considerare note pure i tasti neri. Quindi la nuova scala, da Do a Do, divenne: Do, Do diesis, Re, Re diesis, Mi, Fa, Fa diesis, Sol, Sol diesis, La, La diesis, Si. In tutto dodici note.
Schönberg andò oltre e si autostabilì delle regole proprie come quella di non utilizzare una determinata nota se non dopo aver utilizzato tutte le altre restanti undici o anche quella di crearsi una propria scala musicale che non seguisse però la scala naturale. Fù cos' che, in un sol colpo, le scale armoniche andarono letteralmente a farsi benedire.
E ora che sapete che cos'è la musica dodecafonica provate ad ascolare come suona:

Arnold Schönberg, Pierrot Lunaire, Op. 21 - Prima parte.
Curiosità: alla prima di Pierrot Lunaire, avvenuta nel 1916, scapparono tutti dalla sala del teatro.



Da questa mia esposizione semplicistica sulla dodecafonia avrete sicuramente capito perchè è indigesta !

sabato 12 marzo 2011

mercoledì 2 marzo 2011

BUON COMPLEANNO CHOPIN

Anche se in ritardo di un giorno, voglio celebrare la nascita di Frederik Chopin (1 marzo 1810 - 17 ottobre 1949).

Qua lo vedete nell'unica sua foto del 1948. Dopo la sua separazione, avvenuta  nel 1939, dalla sua amante  Amantine Aurore Lucile Dupin (alias George Sand, la più nota scrittrice francesedi metà ottocento e anche la più intraprendente nei battersi per il diritti delle donne), cadde in una terribile depressione che accelerò la sua malattia (Chopin aveva contratto la tubercolosi da giovane) e che lo costringerà a non comporre più o quasi.


Per poterlo celebrare degnamente vi voglio proporre lo studio per pianoforte Op. 10 n° 3 denominato anche "Tristesse" e suonato da Maurizio Pollini, uno dei più grandi pianisti italiani.






Tra tutti i suoi 27 studi per pianoforte, a detta di molti suoi biografi, è quello da lui più amato poichè ne rifletteva maggiormente la sua indole malinconica e gli ricordava la sua terra natia: la Polonia.
Questo studio, Etude in La minore  Op. 10 N° 3, possiede una struttura tripartitica A - B- A in cui al dolce tema iniziale, melodico e cantabile, si sostituisce un tema dal ritmo sregolato, di difficile esecuzione pianistica, da cui si ritorna al tema iniziale.
In musica, uno studio, era una composizione a carattere didattico e virtusistico, scritto per esercitare gli allievi alle tecniche dello strumento e aale sue difficoltà. Chopin portò lo studio a livelli molto alti tanto da farli diventare veri e propri brani da concerto.

mercoledì 16 febbraio 2011

LA POESIA DI FEBBRAIO

LA POESIA DI FEBBRAIO


Yūgure wa
kumo no hatate ni
mono zo omou
amatsu sora naru
hito o kou tote.

Al crepuscolo
i miei pensieri vagano
verso i confini delle nubi,
poiché anelo alla persona
lontana come il cielo.

Anonimo, dal Kokin, rotolo 11 poesia  484

IL Kokin Waka Shū, come ho già detto in un altro post, è una raccolta di poesia risalente al X secolo circa. Le poesie raccolte, su ordine imperiale, vennero classificate e ordinate in rotoli a seconda del loro argomento. Il rotolo numero 11 tratte delle poesie d'amore e nello specifico quello esistente tra due giovani innamorati. 
Questa composizione è tecnicamente un waka, una poesia distribuita su cinque strofe di 5-7-5-7-7 sillabe rispettivamente.

Immaginate di aver trascorso la giornata in maniera felice, spensierata e in dolce compagnia. Al termine vi dovete separare dal vostro innamorato/a. Come vi sentireste ? Pensate ancora al giorno appena trascorso ?  E al vostro amore ? Ecco questa composizione, delimitata in un ben preciso riferimento temporale, ci rimanda proprio a questa situazione. Alla sera, quando ci si è sentiti appagati dei momenti trascorsi, non si fa altro che struggersi per la lontananza, temporale e spaziale. Ecco allora che la separazione diventa enorme e si cerca di colmarla con il pensiero. Parole come pensiero ("omou"), nubi ("kumo"), cielo ("sora") donano all'intera composizione un certo senso di leggerezza.

Sempre sul tema di questo struggimento, che di giorno è pensiero ma di notte diventa sogno, passiamo all'alba, temporalmente opposta al crepuscolo.
Di Francesco Paolo Tosti "L'alba separa dalla luce l'ombra" su testo di Gabriele D'Annunzio.





L'alba sepàra dalla luce l'ombra,
E la mia voluttà dal mio desire.
O dolce stelle, è l'ora di morire.
Un più divino amor dal ciel vi sgombra.

Pupille ardenti, O voi senza ritorno
Stelle tristi, spegnetevi incorrotte!
Morir debbo. Veder non voglio il giorno,
Per amor del mio sogno e della notte.

Chiudimi, O Notte, nel tuo sen materno,
Mentre la terra pallida s'irrora.
Ma che dal sangue mio nasca l'aurora
E dal sogno mio breve il sole eterno!